venerdì 23 maggio 2014

Appello ai Siciliani, 20 luglio 1992

In occasione dell'anniversario della strage di Capaci, in cui persero la vita, il 23 maggio 1992, il magistrato antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, pubblichiamo il testo dell'"Appello ai Siciliani", scritto dall'allora Presidente della Regione Siciliana Prof. Giuseppe Campione sull'onda emotiva scatenata dalla morte di Paolo Borsellino, ucciso poco dopo, il 19 luglio dello stesso anno.

Consapevoli che l'esercizio della memoria significa atto di resistenza morale e civile, vogliamo restare lontani dal rischio della retorica delle celebrazioni ufficiali ma non possiamo esimerci dalla necessità di interrogarci contro la "sabbia" che sommerge e inquina, auspicando anche noi una lotta popolare e condivisa contro l'usurpazione mafiosa e i suoi intrecci con le istituzioni.


APPELLO AI SICILIANI

Una nuova strage colpisce la Sicilia, già tante volte dilaniata da un potere segreto che non conosce altro linguaggio se non quello della rapina e della morte.  Ancora una volta avvertiamo, assieme a un dolore inconsolabile, l'evidenza di una verità che non conosce sfumature: noi siamo prigionieri della mafia ed essa controlla la nostra schiavitù con la ferocia di un aguzzino sanguinario. Non bastano più né le parole di cordoglio né le dichiarazioni di buoni propositi. La cecità e la viltà di certi politici, gli squallidi interessi dei faccendieri, la connivenza di corrotti e di miserabili ci ha tolto ogni dignità umana e noi ci sentiamo ora come in gabbia. Non bastano più né le parole di cordoglio né le dichiarazioni di buoni propositi. Ora è tempo di riconoscere le nostre responsabilità storiche, di Siciliani; di chiamare alle sue - gravissime - lo stato italiano; di denunciare i poteri occulti nazionali e internazionali; di snidare e isolare tutti i numerosi collaborazionisti della mafia che si annidano nella politica, nella burocrazia, negli affari e nella società.  Ora è tempo di fare politica per i bisogni reali, per la verità, per la qualità del nostro presente e del nostro futuro.  E in queste direzioni il governo regionale intende assolvere i suoi doveri più rigorosi. Ma è anche tempo di chiedersi se i Siciliani siamo un popolo; se questo popolo - troppo a lungo oppresso - ha l'orgoglio e la dignità dei veri popoli.  Ora è tempo di dimostrare che siamo o possiamo essere solidali quanto basta per compiere il nostro diritto e il nostro dovere di popolo: quello di inaugurare una vera resistenza contro l'usurpazione mafiosa.  Ognuno di noi è dunque chiamato a collaborare perché sia reso gentile il destino della nostra terra, della nostra vita, della vita dei nostri cari e dei nostri amici. I nostri poveri morti ammazzati si onorano soprattutto con un vero e proprio risorgimento siciliano, occasione storica perché la nostra splendida terra, ricca di intelligenza e di affetti, sappia infine concepire e vedere all'orizzonte il bene civile della libertà.  Ma nessuno ci libererà mai abbastanza, neanche i nostri poveri eroi, se non faremo una lotta popolare di liberazione dalla mafia, dai suoi complici e dai suoi ispiratori.  La nostra resistenza dovrà essere intelligente e inesorabile, poiché dovrà misurarsi con l'astuzia dell'avversario e sfuggire alle sue reazioni violente.  Ma nessuno ci salverà da un costante pericolo di morte e dalla progressiva desolazione, se non saremo solidali nel tentare di scoprire, isolare e catturare i nemici della nostra libertà. La resistenza alla mafia, più che un dovere, è un diritto di vita.  Non più eroi - poveri, carissimi, indimenticabili eroi morti - ma un popolo che prepari la sua grande fuga da una schiavitù ingiusta e umiliante. Un intero popolo che sa risorgere alla vita civile.

Giuseppe Campione, Presidente della Sicilia       
Palermo, 20 luglio 1992