mercoledì 2 settembre 2009

Oggi la ricorrenza di mons. Antonio Franco, il "Beato" del popolo in attesa del riconoscimento della Chiesa

Un processo lungo e dispendioso, in termini di energia e impegno profusi e in termini economici, sostenuti dalla comunità di devoti che aspettano il riconoscimento ufficiale da parte degli organi ecclesiastici di quelle "virtù eroiche" in cui da sempre confidano. Una fede incondizionata alimentata da secoli di preghiere, richieste di guarigione e testimonianze di episodi straordinari e dall'altra parte un'attenzione crescente intorno alla figura di mons. Antonio Franco che ha oltrepassato i confini della tradizione devozionale luciese per allargarsi ai comuni limitrofi, un tempo parte di quella "Prelatura Nullius" che comprendeva, oltre a Santa Lucia del Mela, gli odierni Pace del Mela, Gualtieri Sicaminò e San Filippo del Mela, dove sta crescendo il movimento di fedeli che invocano la "Beatificazione".
Un comitato luciese appositamente costituito, sotto l'instancabile guida di mons. Raffaele Insana, annuncia un nuovo passo in avanti della causa di Beatificazione così strenuamente sostenuta dai devoti. Il processo, in fase avanzata presso la sacra congregazione per le cause dei Santi in Vaticano, è stato arricchito con il riconoscimento di una guarigione miracolosa attribuita all’intercessione di mons. Franco, morto in odore di santità il 2 settembre 1626, il cui corpo incorrotto è custodito nella Basilica Cattedrale. La stampa definitiva della “Positio historica”, documento fondamentale per l’avanzamento della causa di Beatificazione, ha conseguito il parere positivo della Commissione degli storici ed è all’ordine del giorno della Commissione dei teologi. Ma la fede popolare attorno alla figura del “Servo di Dio” ha radici antichissime: sin da subito dopo la morte i devoti del tempo presero a chiamarlo “Beato”, battezzando i propri figli con il nome di “Antonio Franco”, utilizzando cioè, fatto più unico che raro, sia il nome che il cognome del prelato.
Mons. Franco, proveniente da una nobile famiglia napoletana, dopo aver ricevuto gli ordini sacri fu designato Cappellano Maggiore del Regno di Sicilia dal re spagnolo Filippo III, ufficio al quale era connesso anche quello di abate e prelato ordinario della Prelatura Nullius di Santa Lucia del Mela. Qui fece il suo ingresso solenne il 18 maggio 1617, distinguendosi per la carità verso i poveri, gli infermi e i deboli oltre che per l‘intensa attività evangelizzatrice, frequentando le varie chiese sparse per il territorio della Prelatura. Grande penitente, portava il cilizio, catena oggi conservata nella Basilica Cattedrale che viene chiesta dagli ammalati gravi per invocare la guarigione.
Il programma di festeggiamenti, che culminano oggi, è stato aperto domenica da un pellegrinaggio penitenziale presso la contrada San Giuseppe, dove si trovava l’immagine della Madonna della Neve attualmente custodita nel Santuario del Castello. E dove una campagna di scavi archeologici potrebbe portare alla luce tracce antichissime.
Dopo due giornate dedicate alla preghiera e alla sofferenza, la commemorazione si conclude oggi con il giro votivo per le vie della città del complesso bandistico “Randisi”, offerto per voto fatto dai suoi componenti all’inizio del secolo scorso. Nel pomeriggio ci sarà la processione penitenziale e infine la solenne celebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo mons. Calogero La Piana.

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