sabato 15 novembre 2014

"Un giorno questa terra sarà bellissima" (Paolo Borsellino)

















"La conquista delle reciprocità è la fine della subordinazione, qualsiasi subordinazione. Quella del Sud agli interessi economici del Nord si legge sul territorio, con la condanna del Mezzogiorno alla minorità infrastrutturale (meno strade e rare autostrade, niente treni, pochissimi aeroporti, mentre il resto del Paese ne viene dotato pure con i soldi dei meridionali); coloniale (il petrolio italiano e lucano, e siciliano, ma i relativi vantaggi fiscali sono altrove e la ben-zina costa più a Sud, dove viene pure raffinata; stessa cosa per l'energia elettrica, la cui distribuzione è penalizzata, nel Mezzogiorno, da una rete insufficiente); economica (i fondi del Sud spesi al Nord, magari destinandone ancora  trecento milioni per la metropolitana di Torino, indebitatissimo  capoluogo della Regione più inaffidabile d'Italia, secondo le agenzie internazionali; e lo Stato che  a un terzo della popolazione italiana, i meridionali, da cui prende il 25 per cento delle entrate fiscali, destina solo il 18,8 per cento degli investimenti ordinari). Il Sud, però, è subordinato anche alla mafia e: alla stessa idea che ha di sé. Una condizione che fa comodo al Nord peggiore  e alla mafia. Il che spiega perché vadano tanto d'accordo.
Ma quando ti educhi a non essere più subordinato a qualcuno o a qualcosa, non tolleri di esserlo più a nulla. Così, il sempre più diffuso movimento meridionale di liberazione dal giogo mafioso, a cominciare dal pizzo, rinforza la consapevolezza del proprio diritto all'equità; allo stesso modo, la dilagante riscoperta di come è stata unificata l'Italia, a tutto danno dei meridionali induce a pretendere equità e rispetto della verità storica (per questo nascono comitati, associazioni, partiti), ma educa pure all'insofferenza dell'imposizione mafiosa. Si può essere schiavo di qualcuno e aguzzino di qualche altro (così l'oppressore divide e contrappone i servi, fu così persino nei campi di sterminio), ma quando si è liberi, lo si è e basta; del tutto, da tutto, da tutti. Che non è starsene da soli, ma non più sul gradino più basso: insieme, sullo stesso pianerottolo."

Un viaggio nel sud che cambia, fotografando una storia che ci riguarda da vicino e un presente di cui siamo parte. Questo è ciò che il giornalista e scrittore Pino Aprile, autore di libri diventati best seller veri e propri casi editoriali, come Terroni, Giù al Sud e, Il Sud puzza. Storia di vergogna e d’orgoglio, ha regalato al pubblico attento e appassionato giunto dalle città vicine per partecipare all’incontro. Il Sud, filo conduttore della produzione narrativa e giornalistica di Aprile, che ne è testimone nel solco di una controstoria destinata a contraddire gli stereotipi e i falsi miti che hanno da sempre accompagnato la storia dei meridionali, è un elemento fondamentale della sua biografia. Sino ai 23 anni, Aprile ha infatti vissuto a Taranto, ed esattamente nella palazzina posta di fronte all’impianto siderurgico dell’ILVA che, nell’immaginario di allora, sembrava volano di sviluppo economico, lavoro e ricchezza, prima che si prendesse coscienza della connessione tra l’industria e il prezzo troppo alto che si paga in termini di salute. Ma questa è una storia che conosciamo, perché ricorda da vicino quanto vissuto dal nostro comprensorio, nel momento storico  in cui è sorto il polo industriale i cui effetti, sotto la lente di ingrandimento degli ambientalisti da tempi lunghi, sono adesso all’attenzione di cittadini sempre più numerosi, protagonisti di quelle stesse storie di risveglio che Pino Aprile racconta nei suoi articoli e nei suoi libri.
Sono storie che descrivono l’inesorabile cambiamento in atto al Sud, terra in cerca di riscatto, sia dagli stereotipi che ne hanno condizionato la storia, sia da una condizione di asservimento ai colossi industriali e alla criminalità, verso un cambio di rotta che non passa solo da figure simbolo, i cosiddetti martiri civili, che siano magistrati che non si piegano, uomini di chiesa coraggiosi (anche nel nostro comprensorio ne abbiamo un esempio luminoso), commercianti che si rifiutano di pagare il pizzo o singoli cittadini stanchi di sopportare la puzza dei fumi inquinanti, ma che investe tutta la comunità, diventando lotta condivisa da centinaia di persone che si riuniscono in comitati e associazioni, e, quindi, si trasforma in rete sociale e culturale che rende possibile un futuro diverso.
Per tutte queste ragioni, Il Sud puzza. Storia di vergogna e d’orgoglio, presentato nell’aula consiliare luciese, è un libro che, come i precedenti di Pino Aprile, ha fatto discutere ed è destinato a far parlare di sé ancora molto; i cittadini del Sud, le loro speranze e le loro battaglie ne sono la sostanza: né italiani di serie B, né popolo abituato a lamentarsi senza agire, divengono protagonisti di una storia nuova, quella di chi non gira più la testa dall’altra parte per non vedere o si tura il naso di fronte alla puzza, ma affronta i problemi a viso aperto e, così, migliora la propria vita. E anche quella degli altri.  
Il Sud puzza è l’ultimo anello di una trilogia che riflette sulla storia, o meglio sulla controstoria, del Meridione, oggi considerato, nell’immaginario collettivo diffuso dai mass media e dall’opinione pubblica, come vera e propria zavorra del nord, nella contrapposizione tra le regioni settentrionali che producono ricchezza e un Meridione povero e sottosviluppato da cui si emigra, quasi vergognandosi se non si scappa dalla Sicilia o dalle altre regioni del Sud. Eppure, prima dell’Unità d’Italia, la condizione di questa nazione che oggi ci appare ancora spaccata in due, era esattamente all’opposto, con un Regno delle due Sicilie vera e propria potenza economica e un nord da cui si emigrava, anche se questo non lo leggeremo mai nella storiografia ufficiale. Da allora, è come se avessimo voluto punire il nostro Sud, mortificare la sua naturale vocazione alla bellezza e abbiamo accettato come cosa buona e giusta tutto quello che veniva dal Nord, compresa l’industria, che sembrava il miraggio di uno sviluppo che poteva renderci migliori, noi meridionali, figli di un dio minore, che solo se impariamo a fare come i settentrionali possiamo considerarci davvero “italiani”. Da tutti questi dati, per raccontare le cose da un altro punto di vista, parte l’indagine di Pino Aprile, una storia di vergogna e di orgoglio. Per non dimenticare che, come si legge tra le righe, il sogno di uno è utopia, il sogno di molti è una realtà che comincia.
Quella che Pino Aprile ha condiviso con il pubblico è, dunque, la storia di un risveglio, anzi di molti risvegli, di occhi che si sono aperti e di persone che non sono più disposte a sopportare. E sono molte le cose che non vogliono sopportare più, il ricatto “o salute o lavoro” che per decenni ha avvelenato Taranto nell’indifferenza generale, i veleni della “monnezza” proveniente da molte zone d’Italia e accumulata in Campania, veleni che si infiltrano nella terra, che uccidono il cibo e le persone, ma che arricchiscono la camorra e tutti quelli che fanno affari con la criminalità organizzata, il pizzo che bisogna pagare ai soliti noti per riuscire a lavorare. Ma la vergogna è solo uno dei sentimenti che attraversano il libro. C’è, tra i tanti, la fiducia, nel tentativo di coinvolgere sulla strada del cambiamento sia istituzioni troppe volte complici o assenti, sia le altre forze sane del territorio, così che la lotta di uno solo, o di un piccolo gruppo, possa diventare la lotta di tutti, come anche il comprensorio del Mela, sceso in un corteo fatto da migliaia di persone per rivendicare sicurezza, verità e rispetto per la salute umana e l’ambiente, sta sperimentando; c’è, dunque, un sentimento positivo di orgoglio, e di riscatto, che attraversa finalmente il Sud.La coscienza del fatto che “Non vogliamo morire complici. Non c’è altro modo di essere liberi”, comporta il sorgere di una nuova società meridionale in grado di imporre le proprie regole anche alle istituzioni, e al resto della nazione. 
Ci sono figure luminose, come quella di Lella Ottaviano, la donna di Ercolano che ha deciso di dire basta alla pratica comunemente accettata del pizzo, denunciando i camorristi e dando il via ad un processo che ha reso libera la città dalla cappa della criminalità organizzata. C’è don Maurizio Patriciello, diventato una guida per le associazioni che vogliono liberare la piana del Volturno dai veleni che l’hanno trasformata in un inferno, come don Palmiro Prisutto ad Augusta o don Peppe Trifirò ad Archi, impegnato da sempre nella lotta contro l’inquinamento industriale nella Valle del Mela. “Eroi civili” che hanno iniziato un percorso, prima da soli, poi seguiti da una comunità che ha preso a modello il loro esempio. Da territorio saccheggiato, colonizzato, offeso, disprezzato e persino deriso, usato come pattumiera del Belpaese, a terra che si risveglia e vuole riprendersi in mano il proprio futuro. Un futuro che, come ha ricordato Pino Aprile in chiusura, non possiamo più delegare, perché la responsabilità di ciò che è e che sarà non spetta ad altri, ma a ciascuno di noi. 

"No, non si sono svegliati perché hanno sentito la puzza, ma si sono accorti della puzza, perché si sono svegliati; per questo non la sopportano più. Scoprire di aver accettato di conviverci così a lungo ha suscitato vergogna. È un sentimento forte: se non ti distrugge, ti eleva. Chi si vergogna, o si nasconde, perché accetta l'idea di insufficienza che genera quel sentimento; o si riscatta, perché dimostra che quell'insufficienza non è vera. A capolinea della strada che comincia con la vergogna, c'è il suo contrario: l'orgoglio. E posso dirvi che c'è tanta gente in marcia, su quella via, a Sud: cominciano da soli, ma strada facendo, si uniscono, diventano comunità, fanno cose importanti, non accettano più di essere "meno": sono nuclei di società che cambia, recuperano un nuovo ordine, intrappolato fra il vecchio e il caos; e chiedono rispetto, equità. Anzi, lo pretendono.
Lo ripeto per chi non volesse capirlo: si sono svegliati, hanno sentito la puzza. Anche quella che si presenta in doppio petto, con la fascia tricolore."