martedì 20 novembre 2007
"Casa per tutti", la storia infinita
IPAB "Luigi Calderonio", se ne discute in consiglio comunale
L’audizione del presidente Francesco Mangano è stata proposta dal presidente del consiglio Santo Vaccarino per aprire una piattaforma di discussione in merito alla grave situazione di crisi economica in cui versa l’ente ormai da mesi. “Non sono qui per fare politica o chiedere contributi, ma per far capire che l’Ente non è una zavorra bensì una risorsa che genera un indotto economico per il paese” ha dichiarato Mangano, spiegando le cause delle difficoltà economiche e chiedendo collaborazione operativa con le strutture comunali. “Abbiamo proposto un protocollo d’intesa per stipulare una convenzione di rapporti tra l’Istituto e il comune, con uno scambio di servizi e una diversificazione delle attività” ha aggiunto Mangano, sottolinenando la necessità di interventi strutturali per uscire dall’impasse.
“Bisogna prendere atto che la struttura è in perdita e trovare le soluzioni per tentare di dare una risposta ai lavoratori e agli anziani” ha replicato il sindaco Santi Pandolfo. Nonostante i "buoni propositi" di entrambe le parti per evitare le polemiche, si è acceso un ampio dibattito durante il quale nè i consiglieri d'opposizione nè quelli di maggioranza sono riusciti a mantenere sereno il clima di discussione, che si è arroventato tra il girotondo delle accuse e dello "scaricabarile". Un comportamento discutibile, che ha avvelenato gli interventi e squalificato il livello del confronto.
Tuttavia, non sono mancati i tentativi di pensare ad una strategia per salvare le sorti della Casa di riposo e garantire lo stipendio ai dipendenti, in attesa di mesi di arretrati. “Il comune può intervenire mettendo gatuitamente a disposizione dell’Istituto il proprio personale tecnico e offrendo la tariffa minima per il pagamento dell’acquedotto” ha detto Pandolfo. A questo proposito ha aggiunto la possibilità di una transazione a compensazione delle somme che l’istituto deve ancora versare per il consumo dell’acqua. Restano tanti i nodi irrisolti, come un contenzioso aperto dal comune in merito alla questione delle rette da pagare.
Ci auguriamo che il problema dei dipendenti dell'istituto venga risolto quanto prima, poichè sta generando una vera e propria crisi tra le famiglie, spesso monoreddito, che non possono contare su altre entrate economiche e che dipendono da quello stipendio bloccato da mesi. Ci auguriamo che gli anziani ospiti della casa di riposo non siano penalizzati, con una chiusura che sarebbe un grave passo nelle sorti di una comunità che ha nell'istituto Calderone una sede storica, capace di generare un indotto economico in termini di risorse sul suo territorio.
martedì 13 novembre 2007
Il caso di Mons. Antonio Franco, chiamato "Beato" prima del riconoscimento ufficiale della Chiesa

“La fase più difficile per il postulatore della causa, mons. Luigi Porsi, è stata completare il quadro documentale fornito dalla commissione storica, in particolare per quanto riguarda il soggiorno del Servo di Dio alla corte spagnola” spiega il relatore vaticano, Padre Daniel Ols. Il processo di beatificazione, oltre alla Prelatura di Santa Lucia del Mela, coinvolge l’Arcidiocesi di Napoli, che gli diede i natali, la Diocesi di Aversa, nella quale fu beneficiato, l’Arcidiocesi di Madrid, dove fu Cappellano reale, e infine la Diocesi di Roma, dove visse per un anno da chierico e da Prelato eletto. Le fonti documentali-storiche e le biografie descivono mons. Franco con tutti i crismi di una “santità eccellente”, che nonostante non abbia ancora ricevuto il riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa, ne fa uno dei protettori della comunità luciese.
Ma chi era il "Servo di Dio" Mons. Antonio Franco? Nato a Napoli il 26 settembre 1585 dal nobile patrizio di discendenza francese Orlando Franco, e da Anna Francesca Pisana di Antonio, barone di Pascarella, era terzo di 6 figli. Il 23 Settembre 1602 viene insignito, grazie agli studi umanistici e alle discipline ecclesiastiche, della laurea dottorale in Diritto Canonico e Civile. Prima dei ventun'anni, non avendo ancora l’età canonica per essere ordinato sacerdote, viene trasferito a Roma dal padre per approfondire gli studi ecclesiastici. Non è trascorso neanche un anno quando, per ordine del genitore, lascia Roma per trasferirsi alla Corte Reale di Madrid. Ricevuti gli Ordini Sacri nel 1610, chiede al Re Filippo III di essere ammesso a far parte della Cappella Reale. Dopo una verifica della sua condotta personale e morale, che conferma le sue buone e lodevoli qualità, il 14 Gennaio 1611 è nominato Cappellano Reale. Il Re stesso impara ad apprezzarlo e stimarl0 profondamente, al punto da designarlo Cappellano Maggiore del Regno di Sicilia il 12 Novembre 1616. Un ufficio a cui era connesso anche quello di Abate e Prelato ordinario della Prelatura Nullius di S. Lucia del Mela, dove fa il suo ingresso solenne il 18 Maggio 1617, dopo essersi recato a Roma per compiere gli adempimenti connessi alla nomina, confermata da Papa Paolo V.
Mons. Antonio Franco, umiliando sè stesso davanti a Dio, molto spesso si sottoponeva a grandi penitenze e privazioni. Digiunava totalmente, o se pranzava lo faceva solo a pane ed acqua, mentre sembra che non adoperasse mai il letto, sdraiandosi invece sul pavimento con una piccola stuoia per materasso e una pietra per cuscino. Portava strette ai fianchi due grosse catene di ferro, una delle quali irta di aculei appuntiti. Di quelle due catene una esiste ancora, ed è racchiusa in una cassetta d'argento e vetro che viene custodita nella Basilica Cattedrale e portata nelle case degli infermi per invocare la guarigione, e non sono poche le testimonianze di guarigioni prodigiose.
sabato 10 novembre 2007
Un eremita dei giorni nostri

“Una scelta difficile, che non sempre viene compresa, che è spesso vista con diffidenza” dice padre Alessio, che è l’unico eremita di tradizione italo-greca in Italia meridionale. “La tradizione italo-greca è quella della nostra terra”, spiega, “dove l’eredità bizantina, orientale, quella della chiesa delle origini, è sopravvissuta per secoli, prima della latinizzazione imposta alla Sicilia”. Ancora oggi si tratta di una storia poco conosciuta, volutamente occultata per lungo tempo, una spiritualità che affonda le sue radici ad est. “Nel 2001 il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo è stato per la prima volta in Italia, accolto trionfalmente ovunque meno che a Messina, che pure prima del 1908 riuniva un nutrito gruppo di fedeli ortodossi nelle chiese greco-ortodosse di San Nicola e Santa Caterina, passate in mano ai cattolici dopo la ricostruzione. È stato lui a volere la mia ordinazione”.
Padre Alessio, chiamato “jeromonaco”, è stato così ordinato diacono nella cattedrale di San Giorgio dei Greci a Venezia e poi sacerdote ortodosso a Napoli. Prima di raggiungere i monti luciesi, ha trascorso cinque anni in un paesino vicino Corleone, risvegliando la devozione della gente. Ma ottenendo anche, suo malgrado, un’ostilità dovuta ad un’incomprensione di fondo per la “diversità” della liturgia ortodossa, una diffidenza che lo ha costretto ad allontanarsi e lo ha portato al monastero di Bivongi, in Calabria, accolto dai monaci del Monte Athos. “Ma sentivo che bisognava fare qualcosa nel messinese e grazie all’appoggio della mia famiglia e all’intervento di Padre Paolo Impalà sono riuscito a trovare questa casetta, che ho ristrutturato e che ho ottenuto in comodato d’uso”.
Nato a Messina 55 anni fa, i primi anni della sua vita sono stati divisi tra la Sicilia e Milano, dove si è trasferito con la famiglia a causa del lavoro del padre, avvocato e sottoufficiale dell’aviazione. Primo di cinque fratelli, ha mantenuto forte il legame con la sua terra, quella delle vacanze estive, dell’affetto dei nonni, dei ricordi d’infanzia. “La vocazione è sempre stata dentro di me, anche se mio padre avrebbe voluto vedermi avvocato” racconta padre Alessio. Dopo il liceo, la scelta di studiare lettere classiche all’università, raggiunta la maggiore età, a 21 anni, inizia il suo percorso religioso, che lo conduce a scegliere il monachesimo delle origini.
L’eremo di Santa Lucia, chiamato da padre Alessio “Sacro Eremo della Candelora”, possiede una piccola cappella, che lui stesso ha voluto e realizzato. Qui può pregare, celebrare la liturgia, battezzare. In poco spazio ha ricostruito l’atmosfera spirituale del rito ortodosso. La stanza è piena di un’infinità di icone raffiguranti Cristo, la Madonna, gli Angeli, reliquie, memorie e immagini dei Santi italo-greci, candele di ogni forma e colore, incensieri, tappeti, sedili in legno. L’altare è nascosto, può accedervi solo il sacerdote. Si prega in piedi, rivolti simbolicamente ad oriente, dove nasce la luce.
Accanto alla cappella c’è una biblioteca che raccoglie migliaia di libri: un piccolo gioiello che custodisce volumi di diverse tradizioni e diverse epoche. Qui padre Alessio, che rivela una cultura di gran lunga al di sopra della media, passa gran parte della sua giornata, immerso nello studio. Qualche anno fa ha pubblicato un libro su “I santi italo-greci dell’Italia meridionale – Epopea spirituale dell’Oriente cristiano”, che testimonia il suo interesse per l’agiografia. Le altre attività giornaliere sono la preghiera e il lavoro.
La solitudine e il silenzio vengono interrotti raramente, solo per accogliere chi vuole andare a trovarlo. “Vivo di elemosina” ci dice padre Alessio. Il gas in cucina viene usato solo di rado, qualcuno gli porta ogni tanto un piatto già pronto, della frutta, o della verdura. Il telefono gli serve solo per ricevere, mette in funzione la lavatrice una volta al mese, non ha i riscaldamenti, nè la radio o la tv. Si tiene aggiornato su quello che succede nel mondo con i giornali che qualcuno talvolta gli porta. Ha un rapporto cortese con i parroci luciesi, partecipa alle funzioni religiose del paese solo se invitato, perchè non vuole imporre la propria presenza e desidera che il dialogo diventi un’esigenza, non un’imposizione.
Eppure, le porte a questo monaco italo-greco sono state aperte dai protestanti di Messina che gli hanno messo a disposizione la chiesa valdese per poter celebrare la liturgia ortodossa la domenica mattina davanti a un gruppo di circa una ventina di fedeli. Anche a Milazzo è successo qualcosa di simile: “Un piccolo miracolo” racconta padre Alessio. “Padre Santino Colosi mi ha concesso la chiesa di San Giacomo la domenica pomeriggio per poter celebrare la liturgia davanti ad una piccola comunità, composta per lo più da persone venute dall’est che finalmente hanno a disposizione un luogo per pregare”.
martedì 6 novembre 2007
Addio Maestro

venerdì 2 novembre 2007
Applaudito a Montreal il teatro dialettale dei Colapesce
