sabato 10 novembre 2007

Un eremita dei giorni nostri

Vivere di silenzio nella società della comunicazione, scegliere la solitudine nell'era della rete, pregare e studiare mentre il mondo corre a velocità vertiginosa verso un futuro pieno di ipotesi, possibilità ma anche incertezza. Lo scenario è quello dei monti luciesi, dove si è rifugiato per condurre la sua vita di monaco eremita padre Alessio Mandanikiotis, il primo archimandrita messinese dell’epoca moderna. Un sacerdote ortodosso che ha scelto la piccola contrada Sauci, appena distante dalle ultime case di Santa Lucia del Mela, per costruire un eremo che è un rifugio e un luogo sacro, con tanto di cappella per le celebrazioni.



Un eremo immerso nel verde degli alberi, da cui si vede la distesa del mare e si scorgono le Eolie, un luogo che sembra fuori dal tempo, dove domina il silenzio. Fuori, l’ingresso è protetto da un cancello in ferro battuto, ai cui lati si trovano una croce greca e un tabernacolo con un’immagine sacra. Dentro, solo una piccola sala, piena di libri e icone, attigua ad una cucina modesta, un piccolo bagno e una camera con una tavola di legno per dormire.





“Una scelta difficile, che non sempre viene compresa, che è spesso vista con diffidenza” dice padre Alessio, che è l’unico eremita di tradizione italo-greca in Italia meridionale. “La tradizione italo-greca è quella della nostra terra”, spiega, “dove l’eredità bizantina, orientale, quella della chiesa delle origini, è sopravvissuta per secoli, prima della latinizzazione imposta alla Sicilia”. Ancora oggi si tratta di una storia poco conosciuta, volutamente occultata per lungo tempo, una spiritualità che affonda le sue radici ad est. “Nel 2001 il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo è stato per la prima volta in Italia, accolto trionfalmente ovunque meno che a Messina, che pure prima del 1908 riuniva un nutrito gruppo di fedeli ortodossi nelle chiese greco-ortodosse di San Nicola e Santa Caterina, passate in mano ai cattolici dopo la ricostruzione. È stato lui a volere la mia ordinazione”.





Padre Alessio, chiamato “jeromonaco”, è stato così ordinato diacono nella cattedrale di San Giorgio dei Greci a Venezia e poi sacerdote ortodosso a Napoli. Prima di raggiungere i monti luciesi, ha trascorso cinque anni in un paesino vicino Corleone, risvegliando la devozione della gente. Ma ottenendo anche, suo malgrado, un’ostilità dovuta ad un’incomprensione di fondo per la “diversità” della liturgia ortodossa, una diffidenza che lo ha costretto ad allontanarsi e lo ha portato al monastero di Bivongi, in Calabria, accolto dai monaci del Monte Athos. “Ma sentivo che bisognava fare qualcosa nel messinese e grazie all’appoggio della mia famiglia e all’intervento di Padre Paolo Impalà sono riuscito a trovare questa casetta, che ho ristrutturato e che ho ottenuto in comodato d’uso”.





Nato a Messina 55 anni fa, i primi anni della sua vita sono stati divisi tra la Sicilia e Milano, dove si è trasferito con la famiglia a causa del lavoro del padre, avvocato e sottoufficiale dell’aviazione. Primo di cinque fratelli, ha mantenuto forte il legame con la sua terra, quella delle vacanze estive, dell’affetto dei nonni, dei ricordi d’infanzia. “La vocazione è sempre stata dentro di me, anche se mio padre avrebbe voluto vedermi avvocato” racconta padre Alessio. Dopo il liceo, la scelta di studiare lettere classiche all’università, raggiunta la maggiore età, a 21 anni, inizia il suo percorso religioso, che lo conduce a scegliere il monachesimo delle origini.





L’eremo di Santa Lucia, chiamato da padre Alessio “Sacro Eremo della Candelora”, possiede una piccola cappella, che lui stesso ha voluto e realizzato. Qui può pregare, celebrare la liturgia, battezzare. In poco spazio ha ricostruito l’atmosfera spirituale del rito ortodosso. La stanza è piena di un’infinità di icone raffiguranti Cristo, la Madonna, gli Angeli, reliquie, memorie e immagini dei Santi italo-greci, candele di ogni forma e colore, incensieri, tappeti, sedili in legno. L’altare è nascosto, può accedervi solo il sacerdote. Si prega in piedi, rivolti simbolicamente ad oriente, dove nasce la luce.





Accanto alla cappella c’è una biblioteca che raccoglie migliaia di libri: un piccolo gioiello che custodisce volumi di diverse tradizioni e diverse epoche. Qui padre Alessio, che rivela una cultura di gran lunga al di sopra della media, passa gran parte della sua giornata, immerso nello studio. Qualche anno fa ha pubblicato un libro su “I santi italo-greci dell’Italia meridionale – Epopea spirituale dell’Oriente cristiano”, che testimonia il suo interesse per l’agiografia. Le altre attività giornaliere sono la preghiera e il lavoro.





La solitudine e il silenzio vengono interrotti raramente, solo per accogliere chi vuole andare a trovarlo. “Vivo di elemosina” ci dice padre Alessio. Il gas in cucina viene usato solo di rado, qualcuno gli porta ogni tanto un piatto già pronto, della frutta, o della verdura. Il telefono gli serve solo per ricevere, mette in funzione la lavatrice una volta al mese, non ha i riscaldamenti, nè la radio o la tv. Si tiene aggiornato su quello che succede nel mondo con i giornali che qualcuno talvolta gli porta. Ha un rapporto cortese con i parroci luciesi, partecipa alle funzioni religiose del paese solo se invitato, perchè non vuole imporre la propria presenza e desidera che il dialogo diventi un’esigenza, non un’imposizione.





Eppure, le porte a questo monaco italo-greco sono state aperte dai protestanti di Messina che gli hanno messo a disposizione la chiesa valdese per poter celebrare la liturgia ortodossa la domenica mattina davanti a un gruppo di circa una ventina di fedeli. Anche a Milazzo è successo qualcosa di simile: “Un piccolo miracolo” racconta padre Alessio. “Padre Santino Colosi mi ha concesso la chiesa di San Giacomo la domenica pomeriggio per poter celebrare la liturgia davanti ad una piccola comunità, composta per lo più da persone venute dall’est che finalmente hanno a disposizione un luogo per pregare”.



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