martedì 20 novembre 2007

"Casa per tutti", la storia infinita

Un nuovo difficile capitolo si apre nell'annosa vicenda della “Cooperativa Casa per tutti”, una brutta storia a puntate che ancora una volta arriva sul tavolo dei consiglieri comunali. A volerla all'ordine del giorno durante l'ultima seduta consiliare stati gli esponenti d'opposizione Rizzo, Manna, Bella, Amalfi, Cirino e Zullo, i quali hanno chiesto l’audizione del sindaco in merito alla sentenza n. 1411 del Tar di Catania, risalente allo scorso 6 settembre di quest’anno. La sentenza, entro un termine di 120 giorni, obbliga il comune ad adottare “le disposizioni amministrative necessarie per il completo pagamento di quanto dovuto ai ricorrenti”, per l’illegittima occupazione ed espropriazione dei propri terreni. Il testo completo è consultabile all'indirizzo (http://www.giustizia-amministrativa.it/Sentenze/CT_200701411_SE.doc).
“L’unica strada percorribile in attesa di un quadro completo è la vendita dei beni patrimoniali del comune”, ha detto Pandolfo. Tuttavia ha aggiunto che “non esiste ancora il regolamento che disciplini tale vendita per far fronte alla sentenza e pagare”. Il rischio che il comune corre seriamente è quello del dissesto finanziario, con tutte le conseguenze che ciò comporta. Il termine non è ancora scaduto, ma siamo agli sgoccioli. L'attesa è dura e lascia aperte molte domande, molti dubbi su come verrà gestita una vicenda che sin dall'inizio ha posto diversi problemi di legittimità.

IPAB "Luigi Calderonio", se ne discute in consiglio comunale

Il caso dell'istituto di riposo per anziani "Luigi Calderonio", lo storico ente luciese che rischia la chiusura per l'impossibilità di far quadrare i conti e garantire lo stipendio al personale, è arrivato finalmente in consiglio comunale. Durante l'ultima seduta del civico consesso, tutta l'attenzione è stata puntata sull'atteso confronto tra il presidente del cda dell'istituto e l’amministrazione comunale. Tra il pubblico, solitamente esiguo, tutto il personale dell’istituto, i volontari che prestano assistenza gratuita agli anziani, gli altri membri del consiglio d'amministrazione.


L’audizione del presidente Francesco Mangano è stata proposta dal presidente del consiglio Santo Vaccarino per aprire una piattaforma di discussione in merito alla grave situazione di crisi economica in cui versa l’ente ormai da mesi. “Non sono qui per fare politica o chiedere contributi, ma per far capire che l’Ente non è una zavorra bensì una risorsa che genera un indotto economico per il paese” ha dichiarato Mangano, spiegando le cause delle difficoltà economiche e chiedendo collaborazione operativa con le strutture comunali. “Abbiamo proposto un protocollo d’intesa per stipulare una convenzione di rapporti tra l’Istituto e il comune, con uno scambio di servizi e una diversificazione delle attività” ha aggiunto Mangano, sottolinenando la necessità di interventi strutturali per uscire dall’impasse.

“Bisogna prendere atto che la struttura è in perdita e trovare le soluzioni per tentare di dare una risposta ai lavoratori e agli anziani” ha replicato il sindaco Santi Pandolfo. Nonostante i "buoni propositi" di entrambe le parti per evitare le polemiche, si è acceso un ampio dibattito durante il quale nè i consiglieri d'opposizione nè quelli di maggioranza sono riusciti a mantenere sereno il clima di discussione, che si è arroventato tra il girotondo delle accuse e dello "scaricabarile". Un comportamento discutibile, che ha avvelenato gli interventi e squalificato il livello del confronto.

Tuttavia, non sono mancati i tentativi di pensare ad una strategia per salvare le sorti della Casa di riposo e garantire lo stipendio ai dipendenti, in attesa di mesi di arretrati. “Il comune può intervenire mettendo gatuitamente a disposizione dell’Istituto il proprio personale tecnico e offrendo la tariffa minima per il pagamento dell’acquedotto” ha detto Pandolfo. A questo proposito ha aggiunto la possibilità di una transazione a compensazione delle somme che l’istituto deve ancora versare per il consumo dell’acqua. Restano tanti i nodi irrisolti, come un contenzioso aperto dal comune in merito alla questione delle rette da pagare.

Ci auguriamo che il problema dei dipendenti dell'istituto venga risolto quanto prima, poichè sta generando una vera e propria crisi tra le famiglie, spesso monoreddito, che non possono contare su altre entrate economiche e che dipendono da quello stipendio bloccato da mesi. Ci auguriamo che gli anziani ospiti della casa di riposo non siano penalizzati, con una chiusura che sarebbe un grave passo nelle sorti di una comunità che ha nell'istituto Calderone una sede storica, capace di generare un indotto economico in termini di risorse sul suo territorio.

martedì 13 novembre 2007

Il caso di Mons. Antonio Franco, chiamato "Beato" prima del riconoscimento ufficiale della Chiesa

La sua fama si è diffusa ben oltre il territorio luciese, superando il comprensorio e raggiungendo altre regioni, fino ad arrivare, in qualche caso, al di là dei confini nazionali. Il suo corpo incorrotto, custodito in una teca di cristallo, è venerato da quasi quattro secoli nella Basilica Cattedrale di Santa Lucia del Mela. Il protagonista di questa storia è Mons. Antonio Franco, nato da una nobile famiglia napoletana ma vissuto nella più completa povertà e dedizione al prossimo, che è stato Prelato ordinario di Santa Lucia durante gli ultimi anni della sua vita, tra il 1617 e il 1626. Di miracoli compiuti in vita, di grazie e di esempi straordinari di virtù si parlò sin da subito dopo la morte, tanto che il processo di beatificazione e canonizzazione si tentò già dagli anni successivi, ma senza risultati. Anzi, la causa è stata riaperta e interrotta per ben sette volte nei secoli di passati, incontrando ostacoli di varia natura, legati soprattutto alla difficoltà di ricostruire documentalmente alcuni periodi della sua vita.


Quasi 20 anni fa è stata finalmente aperta l'Inchiesta Diocesana di Messina, che in questi mesi è arrivata ad un importante punto di svolta. La causa di beatificazione è infatti giunta ad una fase fondamentale: si tratta della pubblicazione della cosiddetta “Positio”, un documento sulla vita, le virtù, la fama di santità del "Servo di Dio" Mons. Antonio Franco. Una tappa che sta avvicinando di molto la prospettiva della tanto attesa beatificazione. La Positio, un corposo volume di 348 pagine, rappresenta una ricostruzione, condotta su basi storiche e documentali, di tutta la vicenda personale della vita e della santità di Antonio Franco, chiamato “beato” dal popolo sin da subito dopo la morte per le testimonianze di miracoli di guarigione, protezione, aiuti di ogni genere praticati anche in vita.


“La fase più difficile per il postulatore della causa, mons. Luigi Porsi, è stata completare il quadro documentale fornito dalla commissione storica, in particolare per quanto riguarda il soggiorno del Servo di Dio alla corte spagnola” spiega il relatore vaticano, Padre Daniel Ols. Il processo di beatificazione, oltre alla Prelatura di Santa Lucia del Mela, coinvolge l’Arcidiocesi di Napoli, che gli diede i natali, la Diocesi di Aversa, nella quale fu beneficiato, l’Arcidiocesi di Madrid, dove fu Cappellano reale, e infine la Diocesi di Roma, dove visse per un anno da chierico e da Prelato eletto. Le fonti documentali-storiche e le biografie descivono mons. Franco con tutti i crismi di una “santità eccellente”, che nonostante non abbia ancora ricevuto il riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa, ne fa uno dei protettori della comunità luciese.


Ma chi era il "Servo di Dio" Mons. Antonio Franco? Nato a Napoli il 26 settembre 1585 dal nobile patrizio di discendenza francese Orlando Franco, e da Anna Francesca Pisana di Antonio, barone di Pascarella, era terzo di 6 figli. Il 23 Settembre 1602 viene insignito, grazie agli studi umanistici e alle discipline ecclesiastiche, della laurea dottorale in Diritto Canonico e Civile. Prima dei ventun'anni, non avendo ancora l’età canonica per essere ordinato sacerdote, viene trasferito a Roma dal padre per approfondire gli studi ecclesiastici. Non è trascorso neanche un anno quando, per ordine del genitore, lascia Roma per trasferirsi alla Corte Reale di Madrid. Ricevuti gli Ordini Sacri nel 1610, chiede al Re Filippo III di essere ammesso a far parte della Cappella Reale. Dopo una verifica della sua condotta personale e morale, che conferma le sue buone e lodevoli qualità, il 14 Gennaio 1611 è nominato Cappellano Reale. Il Re stesso impara ad apprezzarlo e stimarl0 profondamente, al punto da designarlo Cappellano Maggiore del Regno di Sicilia il 12 Novembre 1616. Un ufficio a cui era connesso anche quello di Abate e Prelato ordinario della Prelatura Nullius di S. Lucia del Mela, dove fa il suo ingresso solenne il 18 Maggio 1617, dopo essersi recato a Roma per compiere gli adempimenti connessi alla nomina, confermata da Papa Paolo V.


Mons. Antonio Franco, umiliando sè stesso davanti a Dio, molto spesso si sottoponeva a grandi penitenze e privazioni. Digiunava totalmente, o se pranzava lo faceva solo a pane ed acqua, mentre sembra che non adoperasse mai il letto, sdraiandosi invece sul pavimento con una piccola stuoia per materasso e una pietra per cuscino. Portava strette ai fianchi due grosse catene di ferro, una delle quali irta di aculei appuntiti. Di quelle due catene una esiste ancora, ed è racchiusa in una cassetta d'argento e vetro che viene custodita nella Basilica Cattedrale e portata nelle case degli infermi per invocare la guarigione, e non sono poche le testimonianze di guarigioni prodigiose.


Mons. Franco si distinse per la premurosa carità verso i poveri, i malati e i deboli, oltre che per la sua attività evangelizzatrice. Morì non ancora 42enne il 2 Settembre del 1626, stroncato dalle penitenze e dalle continue astinenze, oltre che da un oscuro male. Da allora ad oggi, tutti i fedeli dell’antica Prelatura e dei centri vicini presero a venerarlo ed a chiamarlo "Beato". Il nome di Mons. Antonio Franco viene imposto dai genitori ai propri figli al fonte battesimale, ne vengono raccontati i miracoli, i fedeli chiedono la sua protezione. Col passare degli anni, sempre più numerosi sono stati quelli che pregando sulla sua tomba hanno ottenuto, per sua intercessione, numerose grazie. Per la sua beatificazione è stata istituita una Commissione che lavora intensamente, con il sostegno anche economico di tutta la comunità luciese, per ottenere la canonizzazione del "Servo di Dio" presso la Santa Sede.

sabato 10 novembre 2007

Un eremita dei giorni nostri

Vivere di silenzio nella società della comunicazione, scegliere la solitudine nell'era della rete, pregare e studiare mentre il mondo corre a velocità vertiginosa verso un futuro pieno di ipotesi, possibilità ma anche incertezza. Lo scenario è quello dei monti luciesi, dove si è rifugiato per condurre la sua vita di monaco eremita padre Alessio Mandanikiotis, il primo archimandrita messinese dell’epoca moderna. Un sacerdote ortodosso che ha scelto la piccola contrada Sauci, appena distante dalle ultime case di Santa Lucia del Mela, per costruire un eremo che è un rifugio e un luogo sacro, con tanto di cappella per le celebrazioni.



Un eremo immerso nel verde degli alberi, da cui si vede la distesa del mare e si scorgono le Eolie, un luogo che sembra fuori dal tempo, dove domina il silenzio. Fuori, l’ingresso è protetto da un cancello in ferro battuto, ai cui lati si trovano una croce greca e un tabernacolo con un’immagine sacra. Dentro, solo una piccola sala, piena di libri e icone, attigua ad una cucina modesta, un piccolo bagno e una camera con una tavola di legno per dormire.





“Una scelta difficile, che non sempre viene compresa, che è spesso vista con diffidenza” dice padre Alessio, che è l’unico eremita di tradizione italo-greca in Italia meridionale. “La tradizione italo-greca è quella della nostra terra”, spiega, “dove l’eredità bizantina, orientale, quella della chiesa delle origini, è sopravvissuta per secoli, prima della latinizzazione imposta alla Sicilia”. Ancora oggi si tratta di una storia poco conosciuta, volutamente occultata per lungo tempo, una spiritualità che affonda le sue radici ad est. “Nel 2001 il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo è stato per la prima volta in Italia, accolto trionfalmente ovunque meno che a Messina, che pure prima del 1908 riuniva un nutrito gruppo di fedeli ortodossi nelle chiese greco-ortodosse di San Nicola e Santa Caterina, passate in mano ai cattolici dopo la ricostruzione. È stato lui a volere la mia ordinazione”.





Padre Alessio, chiamato “jeromonaco”, è stato così ordinato diacono nella cattedrale di San Giorgio dei Greci a Venezia e poi sacerdote ortodosso a Napoli. Prima di raggiungere i monti luciesi, ha trascorso cinque anni in un paesino vicino Corleone, risvegliando la devozione della gente. Ma ottenendo anche, suo malgrado, un’ostilità dovuta ad un’incomprensione di fondo per la “diversità” della liturgia ortodossa, una diffidenza che lo ha costretto ad allontanarsi e lo ha portato al monastero di Bivongi, in Calabria, accolto dai monaci del Monte Athos. “Ma sentivo che bisognava fare qualcosa nel messinese e grazie all’appoggio della mia famiglia e all’intervento di Padre Paolo Impalà sono riuscito a trovare questa casetta, che ho ristrutturato e che ho ottenuto in comodato d’uso”.





Nato a Messina 55 anni fa, i primi anni della sua vita sono stati divisi tra la Sicilia e Milano, dove si è trasferito con la famiglia a causa del lavoro del padre, avvocato e sottoufficiale dell’aviazione. Primo di cinque fratelli, ha mantenuto forte il legame con la sua terra, quella delle vacanze estive, dell’affetto dei nonni, dei ricordi d’infanzia. “La vocazione è sempre stata dentro di me, anche se mio padre avrebbe voluto vedermi avvocato” racconta padre Alessio. Dopo il liceo, la scelta di studiare lettere classiche all’università, raggiunta la maggiore età, a 21 anni, inizia il suo percorso religioso, che lo conduce a scegliere il monachesimo delle origini.





L’eremo di Santa Lucia, chiamato da padre Alessio “Sacro Eremo della Candelora”, possiede una piccola cappella, che lui stesso ha voluto e realizzato. Qui può pregare, celebrare la liturgia, battezzare. In poco spazio ha ricostruito l’atmosfera spirituale del rito ortodosso. La stanza è piena di un’infinità di icone raffiguranti Cristo, la Madonna, gli Angeli, reliquie, memorie e immagini dei Santi italo-greci, candele di ogni forma e colore, incensieri, tappeti, sedili in legno. L’altare è nascosto, può accedervi solo il sacerdote. Si prega in piedi, rivolti simbolicamente ad oriente, dove nasce la luce.





Accanto alla cappella c’è una biblioteca che raccoglie migliaia di libri: un piccolo gioiello che custodisce volumi di diverse tradizioni e diverse epoche. Qui padre Alessio, che rivela una cultura di gran lunga al di sopra della media, passa gran parte della sua giornata, immerso nello studio. Qualche anno fa ha pubblicato un libro su “I santi italo-greci dell’Italia meridionale – Epopea spirituale dell’Oriente cristiano”, che testimonia il suo interesse per l’agiografia. Le altre attività giornaliere sono la preghiera e il lavoro.





La solitudine e il silenzio vengono interrotti raramente, solo per accogliere chi vuole andare a trovarlo. “Vivo di elemosina” ci dice padre Alessio. Il gas in cucina viene usato solo di rado, qualcuno gli porta ogni tanto un piatto già pronto, della frutta, o della verdura. Il telefono gli serve solo per ricevere, mette in funzione la lavatrice una volta al mese, non ha i riscaldamenti, nè la radio o la tv. Si tiene aggiornato su quello che succede nel mondo con i giornali che qualcuno talvolta gli porta. Ha un rapporto cortese con i parroci luciesi, partecipa alle funzioni religiose del paese solo se invitato, perchè non vuole imporre la propria presenza e desidera che il dialogo diventi un’esigenza, non un’imposizione.





Eppure, le porte a questo monaco italo-greco sono state aperte dai protestanti di Messina che gli hanno messo a disposizione la chiesa valdese per poter celebrare la liturgia ortodossa la domenica mattina davanti a un gruppo di circa una ventina di fedeli. Anche a Milazzo è successo qualcosa di simile: “Un piccolo miracolo” racconta padre Alessio. “Padre Santino Colosi mi ha concesso la chiesa di San Giacomo la domenica pomeriggio per poter celebrare la liturgia davanti ad una piccola comunità, composta per lo più da persone venute dall’est che finalmente hanno a disposizione un luogo per pregare”.



martedì 6 novembre 2007

Addio Maestro


"Credo che tutti i giovani, figli di ricchi o di poveri, debbano avere gli stessi diritti allo studio e uguali possibilità nell'affrontare la vita; credo nella magistratura, nella sua indipendenza, e che tutti possano difendersi qualunque sia il conto in banca, quindi non credo alle trame; credo nella libertà di espressione, cioè giornali e televisioni liberi di criticare il potere; credo che non debbano esserci prevaricazioni né leggi ad personam, per sé, familiari o amici; credo che la pace debba sempre vincere sulla guerra; infine credo che non si debbano imbarcare fascisti e neonazisti per un pugno di voti. Non mi fido di chi ha avuto cinque anni e li ha spesi male. E non ho mai sopportato quelli che fanno promesse e non le mantengono".


(Enzo Biagi, dal Corriere della Sera, 9 aprile 2006)

venerdì 2 novembre 2007

Applaudito a Montreal il teatro dialettale dei Colapesce




Grande successo per il tour teatrale del gruppo Colapesce, che ha portato a Montreal il suo primo spettacolo dal titolo “Intimo per donna”. Tutto esaurito in platea, dove in più di 300 hanno applaudito la divertente commedia in dialetto siciliano firmata da Salvatore Saitta, con la regia di Pino Bonanno. Lo scenario è stato quello dell’Auditorium della “Comprehensive High School” di LaSalle, in cui si sono riunite le tante famiglie dell’Associazione Messinese di Montreal, che hanno accolto e ospitato gli attori della compagnia. Famiglie che hanno ritrovato nel teatro dialettale dei Colapesce tutta la sicilianità che nonostante il passare degli anni continuano a coltivare con orgoglio e a trasmettere alle seconde e terze generazioni nate e cresciute oltreoceano. La valorizzazione delle tradizioni e del dialetto sono la missione dell’Associazione culturale Colapesce, che è la prima compagnia teatrale della Valle del Mela ad esibirsi all’estero alla presenza di una comunità di emigranti siciliani. “Un motivo in più per essere gratificati del nostro lavoro” dicono Vita Pollino e Nino Spada, che hanno fondato il gruppo un anno fa.

L’esibizione dei Colapesce si inserisce all’interno di un progetto più vasto, realizzato grazie all’impegno dell’on. Santi Formica, al quale è affidato, tra gli altri, l’assessorato regionale all’Emigrazione. “Si tratta di un’occasione per riscoprire il senso di un’identità regionale che all’estero è ancora più forte” ha detto l’onorevole Formica, sottolineando l’importanza delle comunità italiane nel mondo, una realtà che supera i 60 milioni di emigranti. L’on. Formica, insieme al rappresentante della Provincia di Messina Franco Maricchiolo e ai Colapesce, ha rappresentato la Sicilia presso il console italiano a Montreal, Francesco Paolo Venier, il sindaco di LaSalle Manon Barbe e le sedi istituzionali italiane presenti sul territorio del Quebec. “La visita dei Colapesce alla nostra comunità, composta in gran parte da emigranti partiti nel corso degli anni dalla Valle del Mela, ha rinsaldato il legame speciale che unisce le famiglie all’estero con la terra che si è abbandonata ma che si continua a portare dentro il cuore” ha commentato Maria Donato, presidente dell’Associazione Messinese di Montreal, che esiste da più di 25 anni. I Colapesce sono stati ospiti delle trasmissioni televisive e dei programmi radio locali, in cui hanno raccontato il senso e il valore della sicilianità. Targhe ricordo sono state consegnate all’on. Santi Formica, a Franco Maricchiolo, al responsabile per le sedi estere dell’Associazione Nazionale Famiglie Emigrati Antonio Tufano. Riconoscimenti sono andati anche a Maria Donato e a Franco Mendolia a nome dell’Associazione Messinese di Montreal, che ha lavorato a lungo per rendere possibile il viaggio a Montreal dei Colapesce. Premiato, infine, il gruppo teatrale, già impegnato con l’allestimento del prossimo spettacolo, composto da Nino Spada, Vita Pollino, Nino Mazzù, Maria Rosa La Porta, Salvatore Schepis, Santo Cambria, Manuela Spada, Salvatore Parisi, Graziella Materia, Nicola Spada.