domenica 5 giugno 2016

Festa bianconera per il Barone Causio, poeta del calcio che conta

Il calcio è un linguaggio e ha i suoi poeti. Lo diceva Pier Paolo Pasolini, pensando che i poeti, sul rettangolo verde, non si esprimono con le parole ma con il modo di giocare, con l’inventiva, con la fantasia: ed è per questo che i poeti più grandi, nel mondo del calcio, sono quelli che non usano solo la tecnica, ma anche – e soprattutto – il cuore. Lo sa bene uno come Franco Causio, classe 1949, che dai quartieri popolari di Lecce, dove ricevere un paio di scarpette da calcio è un dono raro al tempo della sua infanzia, ha scalato le vette di una lunga stagione felice, scommettendo sul cuore, sul talento, sul coraggio. Il cuore, quello che non gli fa dimenticare i sacrifici di mamma Anna e papà Oronzo nel Salento degli anni Cinquanta; il talento, quello che possiede nei piedi di velluto, grazie ai quali viene soprannominato Barone, sangue blu del campo di gioco; il coraggio, quello di lasciare tutto e ripartire ogni volta daccapo, prima dalla Puglia a Torino, poi verso avventure calcistiche e umane sempre nuove, con altre maglie, altri compagni di viaggio, altre terre, tra cui il Brasile, dove incontra Andreia, l’amore della sua vita. Una vita che sembra un romanzo, e che infatti il Barone Causio ha messo per iscritto, raccontandosi nell’autobiografia “Vincere è l’unica cosa che conta”: titolo programmatico, motto e imperativo dell’inconfondibile “Stile Juve”.
Parte da qui l’incontro di Franco Causio, protagonista indiscusso di un’epoca indimenticabile del calcio italiano, con i tifosi dello Juventus Club Doc “Gaetano Scirea” di Santa Lucia del Mela, che lo hanno accolto nella nuovissima sede sociale e, poi, nel palazzo ex carcere borbonico di Piazza Milite Ignoto,  dove il Barone, in un dialogo serrato di oltre due ore con il pubblico, ha ripercorso gli anni d’oro del suo calcio e di tutto il calcio italiano. Il presidente carismatico Boniperti, le cene con l’Avvocato, la scoperta di Del Piero; e ancora, i giri in Ape con il padre, i compagni di casa Juve negli anni Settanta e Ottanta, il mitico scopone con Pertini, Zoff e Bearzot, in aereo dopo il mondiale dell’82. Tra passato e presente, memoria e ironia, è un fiume in piena di ricordi, emozioni, aneddoti: così il Barone bianconero racconta le tappe di una carriera folgorante, accompagnata da amici e maestri di vita e coronata dal sogno della maglia azzurra e da grandi traguardi, che lo proiettano di diritto, scorrendo il suo palmarès, nell'olimpo dei campioni.
Insieme al presidente dello “Scirea” Benedetto Merulla, all’avvocato Angelo Siracusa, uno dei fondatori dello storico sodalizio luciese, ai giornalisti e ai fans, Causio ha sfogliato il magico album delle figurine di un calcio che non c’è più, fatto da campioni dentro e fuori il campo, specchio di un’Italia diversa, piena di speranze e fermenti, che applaudiva Tardelli, Rossi, Platini, Cruijff, Facchetti, Scirea e altri grandi giocatori rimasti nel cuore di milioni di innamorati del pallone. Ma è soprattutto una storia juventina quella che Causio restituisce a chi lo ha ammirato in campo come poeta dell’ala («Ero il vero regista della Juve», dichiara) e a chi lo ha conosciuto già leggenda, soprattutto i giovani sportivi che, dalla sua umiltà e dal suo spirito di sacrificio, hanno tutto da imparare: «Ho girato l’Italia in lungo e in largo, ho lavorato in silenzio, con rispetto – il credo della mia vita – molto prima che “rispetto” diventasse uno slogan europeo», afferma il Barone, che dà infine voti al calcio di oggi, pensando alle ardue sfide di Conte, alla Nazionale e alla Juventus, dove continua a battere il suo cuore. Dopo l'incontro, Causio non si sottrae alle foto di rito, agli autografi e ad una lunga serata a cena in compagnia del Club Doc “Scirea”, che ha appena festeggiato il primato in Sicilia per numero di soci e che si prepara già ai prossimi appuntamenti. (Katia Trifirò










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