Filippo Alibrando - Fama, successo, denaro, divertimento, piaceri vari, visibilità mediatica. Sono solo questi gli elementi che compongono la vita di un calciatore dell’era moderna?
La risposta a questa domanda potrebbe sembrare quantomeno lapalissiana, scontata. La società odierna ci abitua a degli standard, stereotipi, riduce l’esistenza di un noto personaggio (quale potrebbe essere un calciatore) ad un fermo immagine che lo rende più “popolare” possibile.
Ed è quindi che, tra una partita e l’altra, un calciatore della massima serie si ritrova sulle prime pagine di tutti i giornali, sugli schermi nazionali, bombardato dal vortice mediatico che vuole a tutti i costi far emergere una nuova “icona” da sfruttare per un determinato periodo. E che fine fanno la personalità, il carattere, i valori ed i sani principi che molti sportivi (non tutti, purtroppo) possiedono?
Beh questi ultimi valgono poco per alcuni o, per lo meno, si limita il senso della “correttezza morale” alla palla messa fuori durante un infortunio o ad un gesto di fair-play. Giusto, ma tremendamente riduttivo.
È stato questo il tema di fondo trattato oggi pomeriggio presso il Palazzo ex-carcere di Santa Lucia del Mela, in occasione dell’incontro dei tifosi locali con Nicola Legrottaglie. L’evento, organizzato dallo Juventus Club Doc “G. Scirea” di Santa Lucia del Mela presieduto dall’instancabile Benedetto Merulla, ha visto protagonista l’ex calciatore della Juventus che ha vestito la maglia bianconera tra il 2003-2005 ed il 2006-2011, concludendo poi la sua carriera nel 2014 al Catania.
Introdotto dall’Avv. Angelo Siracusa, membro fondatore del club luciese nel 1984, Nicola Legrottaglie ha parlato apertamente della sua esperienza, calcistica ma soprattutto di vita. Ha descritto a grandi linee la sua carriera, correttamente definita “parabola ascendente” dal moderatore, mettendo in evidenza quali grandi sacrifici siano necessari per poter coronare i propri sogni nel migliore dei modi. Non ha omesso le parti meno gloriose della sua carriera, ovvero il primo approdo alla Juventus o l’anno della Serie B, anzi. Ha definito questi momenti certamente critici, ma allo stesso tempo portatori di opportunità di crescita: un’introduzione al suo ritrovato modo di vivere.
Già. Un modo di vivere radicalmente modificato in corso d’opera, dopo tanti spropositi ed eccessi, quasi una sorta di conversione sulla via di Damasco, che lo ha portato anche ad aderire al movimento sportivo "Atleti di Cristo".
Questo un breve passaggio del suo intervento: <<Ho messo il passato alle spalle, dopo una presa di coscienza che mi ha portato a rivalutare i giusti valori della vita. Il mio esempio di vita, notoriamente, è Gesù. Mi sono specchiato in lui e ho capito che agendo come lui qualcosa dentro di me è cambiata. Ho iniziato ad amare me stesso, il mio corpo e soprattutto ho imparato un nuovo modo di relazionarmi con tutti, evitando anche di ferire i sentimenti. Ho tolto in pratica la “maschera” che indossavo, quella del personaggio mediaticamente forte ed emblematico, per assumere una personalità quanto più vera ed autentica possibile>>.
Ha messo insomma a nudo se stesso, cercando di esprimere i cambiamenti positivi che hanno contraddistinto la sua esistenza successivamente all’incontro con la Fede. Una fede che, sottolinea, non deve necessariamente corrispondere con Religione: <<fede significa cambiare gli atteggiamenti, le convinzioni, i cattivi esempi, gli obiettivi rendendoli più corretti possibili avvicinandoli all’insegnamento di Gesù>>.
Spronato da un pubblico numeroso e visibilmente attento, Legrottaglie ha anche parlato del ruolo sociale e pedagogico che ha lo sport in generale, dando qualche consiglio anche alle giovani generazioni che si avvicinano al mondo dello sport. In particolare dice: <<Credo che in Italia siamo strutturati maluccio perché per poter arrivare ad avere dei leader, nel senso buono del termine, abbiamo bisogno di formarli. Si formano nelle strutture, che andrebbero potenziate mettendo a capo istruttori che abbiano determinati requisiti morali, etici e soprattutto un’educazione da trasmettere ai bambini. In Italia abbiamo istruttori capaci a parlare di tecnicismi e tattiche, ma il modello generale purtroppo cura poco la crescita individuale del bambino. È un problema culturale non attenzionato ma che purtroppo sta andando avanti, senza alcun freno. L’altra componente è quella familiare, un tassello imprescindibile che fonda la base solida su cui un bambino fonderà la propria vita. Partiamo dalla cultura. Il calcio è lo sport più diseducativo tra tutti gli sport. Non nel regolamento, ma nella pratica comune dei cosiddetti “esempi”, che in realtà non lo sono per niente. La scelta dell’idolo a volte non avviene sulla base dell’integrità morale, bensì sull’esteriorità o la semplice stranezza del calciatore. Ma è una scelta: si decide di ammirare un elemento la cui storia non è certamente migliore di altre. La stampa in tal senso dovrebbe enfatizzare di più i buoni propositi, i buoni esempi, lasciando al margine l’esempio deplorevole per un determinato contesto. La stampa porta le persone a pensarla in un modo che non è esattamente quello corretto. Quindi ci vuole tanto equilibrio e restare attenti>>.
E poi continua: <<La stampa becera è un’altra grave problematica culturale. Oggi alcuni giornalisti vengono ammaestrati per creare scompiglio. Quella domanda è studiata, premeditata per punzecchiare un allenatore o un giocatore per far la notizia e vendere le copie di giornale. Alla base non c’è passione, bensì troppo interesse. Metterei a fare i giornalisti gente appassionata, che non significa non essere obiettivi, ma almeno non crea quel clima di disagio all’interno del gruppo. Tutti questi interessi, unitamente agli spropositi dei social, risultano deleteri per lo sport>>.
Dalle origini fino ad oggi, dal vecchio Legrottaglie alla personalità ritrovata, dalle esperienze sportive ai nuovi progetti da allenatore: è stato un incontro a trecentosessanta gradi, da molti definito come “il più educativo per tutti”. L’ex difensore ha tenuto una spontanea lezione di vita di chi ha saputo riprendere in mano la propria vita dopo periodi di decadenza morale. L’integrità morale di un “Uomo”, inteso come complesso di corpo ed anima che sa comprendere i propri sbagli per rimettersi in carreggiata.
In una società che gareggia a chi ha più ragione rispetto ad un altro, la riflessione odierna è forse una “mosca bianca”: <<sono consapevole di non poter cambiare il mondo, ma come dico sempre, io almeno ci provo>>
Nelle nostre vite da studenti, genitori, figli, capi ma soprattutto come cittadini intercalati in un tessuto sociale sin troppo deviato, dovremmo provarci tutti. Quantomeno per essere in pace con la propria persona, con quelle a noi vicine e con una morale che, in troppi ambiti, spesso è stata dimenticata.
Per la fotogallery dell'evento, clicca il link sottostante. (photo Antonio Giunta)
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