Mons. Antonio Franco in un ritratto |
Katia Trifirò - È
l’alba del 2 settembre 1626. Un corteo immane di fedeli di ogni età e classe
sociale, dalle campagne e dai centri urbani dell’antica “Prelatura Nullius”,
accorre a Santa Lucia del Mela per salutare un’ultima volta il suo amato
Pastore. Mons. Antonio Franco, che ha solo quarant’anni ma una fama di santità
già diffusa di bocca in bocca, testimoniata da guarigioni prodigiose ed altri
eventi inspiegabili, si spegne guardando il cielo, mentre ancora sussurra
preghiere ardenti per il suo popolo.
Sono
trascorsi quasi quattro secoli, ma quella data è celebrata, da allora, con una
devozione sempre crescente, che culmina oggi nel riconoscimento ufficiale del
titolo di “Beato”, con cui Antonio Franco, sin dalla morte, è invocato dai
fedeli della valle del Mela. Una pagina epocale, a cui generazioni di devoti,
di studiosi, di personaggi illustri e di uomini della chiesa locale hanno
contribuito anno dopo anno, sino ad ottenere la conclusione positiva della
Causa.
Il
rito di Beatificazione, che sarà presieduto dal reverendissimo cardinale Angelo
Amato, rappresentante papale e prefetto della Congregazione per le Cause dei
Santi, si terrà alle 18 nella Basilica Cattedrale di Messina, come annunciato
nell’Angelus di ieri da Papa Francesco. Il corpo incorrotto del Beato Franco vi
rimarrà sino al 13 settembre, perché possa essere meta di pellegrinaggi e
preghiere. Giorno 15 farà il suo rientro nella Cattedrale luciese, dove, dopo
una Messa di ringraziamento presieduta dall’arcivescovo mons. Calogero La
Piana, verrà collocato definitivamente, in nuova postazione a sinistra dell’altare
centrale.
Le
operazioni di ricognizione canonica del corpo, iniziate il 15 maggio scorso,
hanno rivelato i segni evidenti delle durissime penitenze con cui Antonio Franco
automortificava la carne per elevare il suo spirito. In particolare, come anticipato
dal vicario foraneo, don Paolo Impalà, si notano chiaramente la denutrizione
del corpo e il solco del cilicio, la pesante catena che il Beato usava per
flagellarsi e cingersi i fianchi, e che viene portata a casa dei malati per
richiedere la grazia della guarigione.
Il
nome di battesimo Antonio Franco è diffuso sin dal 1626, come riportano le
fonti d’archivio, a ricordo di grazie ricevute e di una fede incrollabile nelle
sue “Virtù eroiche”. Annoverata in una lunga lista di fatti prodigiosi, vi è
persino la testimonianza di resurrezione dei morti, tra gli atti funzionali
alla Causa che ricordano guarigioni da ogni genere di male, esorcismi,
interventi sulle calamità naturali. La salvezza da una tempesta in mare, ad
esempio, è evocata ogni anno nel giro votivo offerto dal complesso bandistico
luciese, i cui componenti nel 1917 scamparono ad un naufragio nelle Eolie.
Altrettanto celebre il “miracolo dell’acqua” fatta sgorgare a San Filippo del
Mela, dove esiste il nome di una via intitolata al Beato Antonio Franco.
Parallelamente
alle testimonianze d’archivio, esistono diverse ricerche dedicate a questa
grande figura, tra cui un fondamentale studio di padre Giovanni Parisi del ’65,
un volume di mons. Raffaele Insana e Antonino Saya Barresi del ’97, i preziosi scritti
della famiglia Fulci. Il Beato Franco vi appare sempre con tutti i crismi di
una santità di raro fervore, connessi alla sua alta statura umana, morale,
spirituale, che lo rende uno dei Pastori più ragguardevoli e prestigiosi fra
quanti si distinsero nei decenni successivi al Concilio di Trento. Si preoccupò
della formazione e della moralità del clero, lottò contro gli abusi dei potenti
e degli usurai sui deboli e sui contadini, rinunciò ai suoi stessi privilegi e
si umiliò vivendo poveramente. Anche nell’azione evangelizzatrice, il suo
modello fu San Carlo Borromeo, tanti che volle celebrare i Sinodi annuali
proprio il giorno della sua festa, il 4 novembre.
L'uscita del corpo incorrotto dalla Cattedrale luciese, lo scorso 15 maggio |