Antonella Alibrando - Meglio aggiungere vita ai giorni che non giorni alla vita. Questa emblematica frase è stata pronunciata dalla centenaria più famosa d’Italia, la dottoressa Rita Levi Montalcini, che, nonostante l'invidiabile età raggiunta, ci esorta a seguire il suo esempio: prefiggerci sempre nuovi obiettivi, senza rimanere spettatori passivi della nostra vita.
Ricordarla ci porta dentro la storia che vogliamo raccontare oggi. Protagonista, una donna che, come la Montalcini, è nata 103 anni fa.
Era il 1909 e Rosa Alibrando veniva al mondo in una casetta nei pressi del Castello, da papà Salvatore e mamma Domenica. Quinta di sei figli, prima e ultima femmina di casa Alibrando, l’unica ad essere oggi ancora in vita.
Sfogliando i suoi ricordi, scopriamo una vita d'altri tempi. Quelli di un’infanzia serena, prima di conoscere il dolore e la fatica, ricamando a lume di candela, quando due dei fratelli maggiori partono da Santa Lucia del Mela e i genitori scompaiono, lasciandola a fronteggiare giorni duri. Poi, il lavoro come sarta e l'incontro con l'amore della sua vita, Paolo, con cui si sposa e da cui ha tre figli. Arriva la guerra e, quando finisce, resta la necessità di ricostruzione sulle macerie anche economiche di un'Italia in ginocchio, che costringe Rosa a lasciare il paese insieme ai figli alla volta di Cusano Milanino, cittadina della provincia di Milano dove risiede tuttora, per raggiungere il marito che, qualche anno prima, era emigrato trovando un lavoro da metalmeccanico in fabbrica. Faticosamente arrivano gli anni del boom industriale e, in Lombardia, lontano da casa ma con la forza di ricominciare, inizia per Rosa e per la sua famiglia una nuova fase di serenità, grazie all'impegno quotidiano per una vita dignitosa.
Rosa Alibrando, nata nel 1909 |
Da allora, ogni anno durante i mesi estivi, Rosa Alibrando - prozia di chi scrive - è tornata nella sua terra natia, anche se, con l'avanzare dell'età, qualche inevitabile acciacco ha reso queste visite sempre più rare. Nonostante ciò, con l'intervento provvidenziale dei nuovi mezzi di comunicazione e, soprattutto, di internet, riesce a seguire la vita del paese, che, tra immagini e parole, le fa riaffiorare alla mente tanti ricordi. A partire dalle feste religiose che si celebrano durante l’anno, come quelle in onore della Madonna della Neve e di Mons. Antonio Franco, al quale da ragazza chiese una grazia per il padre malato pregando davanti alla teca di cristallo che ne custodisce la catena (con cui Mons. Franco si flagellava in segno di penitenza). Un’altra tradizione che Rosa ricorda con particolare commozione è la solennità del Venerdì Santo, quando i bambini in costume accompagnano i simulacri raffiguranti i misteri della Passione. E pensa a quando, facendo la sarta, per quest’occasione confezionava gli abiti per i bambini in processione, fra i quali quello di “Munichedda”, come chiamavano la Vergine Addolorata, raffigurata con abito e velo nero simile alla tunica delle suore.
La sue giornate, oggi, le trascorre curando l'orto e divertendosi in compagnia dei cinque nipoti e degli otto pronipoti che spesso la vanno a trovare. E, in questa meritata serenità, spegne oggi 103 candeline, circondata dagli affetti più cari.