Angelo Siracusa, Raffaele Cantone, Sara Utano, Carmelo Pino |
Katia Trifirò - Un
gol è simile a una poesia, scriveva negli anni ’60 un grande innamorato del calcio
come Pasolini. Ma oggi, nell’era delle scommesse clandestine, delle partite
truccate e degli scandali che coinvolgono giocatori e società, l’emozione dello
sport più seguito dagli italiani rischia di finire nel buco nero dei guadagni delle
mafie. La criminalità organizzata, infatti, allunga i propri tentacoli sul
calcio come strumento di potere: i clan acquistano squadre per ottenere
consenso, attingono manovalanza dai vivai giovanili, usano gli ultras per
controllare il territorio.
Questo
pericoloso binomio tra calcio e affari illeciti è stato al centro di un
incontro organizzato dal Leo Club di Milazzo, nell’ambito
delle iniziative dedicate alla legalità e inaugurate dalla visita, due anni fa,
di Pierluigi Vigna. Proprio il tema della legalità, come ha spiegato la
presidente Sara Utano, si conferma così uno dei fili conduttori nelle attività dei
giovani soci sul territorio, impegnati a sensibilizzare la comunità verso i
problemi più attuali.
Ospite
dell’incontro il magistrato napoletano Raffaele Cantone, che, con il piglio
dell’appassionato di calcio e la lunga esperienza di lotta in prima linea alla
criminalità, ha presentato al pubblico il suo ultimo libro, “Football Clan”,
scritto con il giornalista Gianluca Di Feo: «Un atto d’amore», lo definisce, perché
il calcio possa tornare ad essere «il gioco più bello del mondo».
Dopo
i saluti del sindaco Carmelo Pino, a moderare il dibattito è stato l’avvocato
Angelo Siracusa, che ha introdotto alcuni degli aspetti oscuri connessi alle
vicende calcistiche degli ultimi anni, a causa dei quali sono stati messi in
discussione i valori sociali di questo sport e la sua stessa credibilità. Il
rischio, osserva il magistrato con un paradosso, è che il calcio faccia la fine
dell’ippica, poiché i fenomeni criminali cresciuti nel mondo del pallone hanno
come effetto quello di allontanare i tifosi, svuotando gli stadi e cancellando
una passione che ha alimentato intere generazioni.
«Il
calcio è un’industria, un mezzo di potere e di mobilità sociale» afferma
Cantone, citando Messi, Cassano, Insigne, venuti da periferie povere e
diventati ricchissimi, o il caso di Berlusconi, divenuto noto soprattutto
grazie al Milan. «E, attorno ad esso, ruota un volume d’affari che è stato per
molto tempo sottovalutato». Tra i ricordi personali e i dati scottanti della
cronaca, il magistrato ha quindi passato in rassegna gli episodi che più hanno
fatto male al calcio, come la “scalata sporca” alla Lazio che ha coinvolto il
campione Giorgio Chinaglia, al centro di una sua inchiesta.
Dalle foto dei campioni con i boss locali (basti
pensare a Maradona esibito come trofeo dai Giuliano di Forcella) alle
frequentazioni malavitose di alcuni giocatori, dagli appalti sugli stadi all’ipocrisia
istituzionale nella gestione delle scommesse, emerge il profilo di un calcio
malato, a cui si aggiungono le falle della giustizia sportiva e l’atteggiamento
talvolta ambiguo delle società. Ma l’antidoto, suggerisce Cantone, esiste, a
patto di stigmatizzare sul piano sociale i fenomeni criminali nel calcio e
affrontarli con responsabilità e coraggio: una vera e propria terapia d’urto per
prevenire gli illeciti, rendere più efficienti i sistemi di indagine e meno
indulgenti le punizioni.