mercoledì 30 gennaio 2013

Calcio e criminalità. Interviene a Milazzo il magistrato-scrittore Cantone

Angelo Siracusa, Raffaele Cantone, Sara Utano, Carmelo Pino

Katia Trifirò - Un gol è simile a una poesia, scriveva negli anni ’60 un grande innamorato del calcio come Pasolini. Ma oggi, nell’era delle scommesse clandestine, delle partite truccate e degli scandali che coinvolgono giocatori e società, l’emozione dello sport più seguito dagli italiani rischia di finire nel buco nero dei guadagni delle mafie. La criminalità organizzata, infatti, allunga i propri tentacoli sul calcio come strumento di potere: i clan acquistano squadre per ottenere consenso, attingono manovalanza dai vivai giovanili, usano gli ultras per controllare il territorio.
Questo pericoloso binomio tra calcio e affari illeciti è stato al centro di un incontro organizzato dal Leo Club di Milazzo, nell’ambito delle iniziative dedicate alla legalità e inaugurate dalla visita, due anni fa, di Pierluigi Vigna. Proprio il tema della legalità, come ha spiegato la presidente Sara Utano, si conferma così uno dei fili conduttori nelle attività dei giovani soci sul territorio, impegnati a sensibilizzare la comunità verso i problemi più attuali.
Ospite dell’incontro il magistrato napoletano Raffaele Cantone, che, con il piglio dell’appassionato di calcio e la lunga esperienza di lotta in prima linea alla criminalità, ha presentato al pubblico il suo ultimo libro, “Football Clan”, scritto con il giornalista Gianluca Di Feo: «Un atto d’amore», lo definisce, perché il calcio possa tornare ad essere «il gioco più bello del mondo».
Dopo i saluti del sindaco Carmelo Pino, a moderare il dibattito è stato l’avvocato Angelo Siracusa, che ha introdotto alcuni degli aspetti oscuri connessi alle vicende calcistiche degli ultimi anni, a causa dei quali sono stati messi in discussione i valori sociali di questo sport e la sua stessa credibilità. Il rischio, osserva il magistrato con un paradosso, è che il calcio faccia la fine dell’ippica, poiché i fenomeni criminali cresciuti nel mondo del pallone hanno come effetto quello di allontanare i tifosi, svuotando gli stadi e cancellando una passione che ha alimentato intere generazioni.
«Il calcio è un’industria, un mezzo di potere e di mobilità sociale» afferma Cantone, citando Messi, Cassano, Insigne, venuti da periferie povere e diventati ricchissimi, o il caso di Berlusconi, divenuto noto soprattutto grazie al Milan. «E, attorno ad esso, ruota un volume d’affari che è stato per molto tempo sottovalutato». Tra i ricordi personali e i dati scottanti della cronaca, il magistrato ha quindi passato in rassegna gli episodi che più hanno fatto male al calcio, come la “scalata sporca” alla Lazio che ha coinvolto il campione Giorgio Chinaglia, al centro di una sua inchiesta.
Dalle foto dei campioni con i boss locali (basti pensare a Maradona esibito come trofeo dai Giuliano di Forcella) alle frequentazioni malavitose di alcuni giocatori, dagli appalti sugli stadi all’ipocrisia istituzionale nella gestione delle scommesse, emerge il profilo di un calcio malato, a cui si aggiungono le falle della giustizia sportiva e l’atteggiamento talvolta ambiguo delle società. Ma l’antidoto, suggerisce Cantone, esiste, a patto di stigmatizzare sul piano sociale i fenomeni criminali nel calcio e affrontarli con responsabilità e coraggio: una vera e propria terapia d’urto per prevenire gli illeciti, rendere più efficienti i sistemi di indagine e meno indulgenti le punizioni.