Il corpo incorrotto del Beato Antonio Franco (26 settembre 1585 - 2 settembre 1626) nella Concattedrale luciese |
“Poveri infelici che, accusati ed incarcerati ingiustamente, si rivolgono fiduciosi alla sua clemenza; individui che si sentono gravati dell'inesorabile fisco oltre ogni limite di sopportazione e invocano una maggiore equità; detenuti che supplicano perché sia riveduta la loro posizione o che sia mitigata la loro pena o di disagiate condizioni di famiglia; uomini o donne condannati per il delitto di adulterio che, pentiti, promettono di riallacciare i vincoli familiari infranti e chiedono quindi di essere perdonati; famiglie che languono nella più squallida miseria e che si rivolgono per aiuto al cuore generoso del loro Pastore. Mons Franco ha tempo per tutto: esamina ogni singolo caso e decide in merito con grande carità e anche con giustizia ammirabile.
“Tante fatiche apostoliche, affrontate per la salvezza delle anime del suo caro gregge luciese, tanti eroici estenuanti digiuni, fatti per impetrare grazie e favori celesti, ebbero la meglio su una fibra delicata e gracile quale quella del nostro santo Prelato che, tra l'altro, sin quasi dall'inizio del suo arrivo in Prelatura, ha sofferto per un oscuro e non meglio precisato male. Ma come tutti i Santi accettò anche lui la sofferenza con umile sottomissione e con piena uniformità alla volontà divina lasciando che di essa si servisse liberamente il suo Dio per purificare ed affinare la sua anima sempre più assetata di perfezione. Ma ai già lancinanti dolori che la malattia gli procurava, altre sofferenze spontanee si procacciava Mons. Franco; che, per espiazione dei tanti peccati commessi nel mondo e nella sua Prelatura in specie, non solo spessissimo digiunava totalmente, o se pranzava lo faceva a pane e acqua per ubbidienza ai medici che gli proibivano tante asperità. Portava inoltre strette ai fianchi, giorno e notte, due grosse catene di ferro, una delle quali irta di appuntiti aculei.
“La ferale notizia della dipartita di Mons. Franco si sparse repentina tra il popolo luciese [...]. Una massa dolente, che aveva "perduto il padre, il consolatore degli afflitti, il sostegno dei poveri, il santo" (citazione da Padre Parisi), voleva vederlo per l'ultima volta e desiderava baciargli e stringergli quelle mani sì tanto benefiche. In un primo tempo i portinai e gli inservienti cercarono di arginare quella marea di afflitti, che si pigiava contro il portone serrato, lasciandone i battenti chiusi; poi, per evitare disordini, o, peggio ancora, incidenti e feriti, spalancarono le porte e ne permisero l'accesso. Fu, allora, un continuo fluire di gente mesta. Serrato poi il Palazzo e rivestita degli abiti pontificali, la venerata salma fu solennemente trasportata, al lume di mille e più candele, col dolente corteo del Capitolo dei Canonici, del Clero, dei Giurati della città, degli Ordini religiosi e delle Corporazioni cittadine, in Cattedrale, dove fu pubblicamente esposta per ben tre giorni e fu visitata e pianta da ogni ceto di gente d'ogni fascia d'età che da ogni angolo della città e della Prelatura, ininterrottamente, vi giunse.
Citazioni tratte dal volume di Mons. Raffaele Insana e Antonino Saya Barresi, "In salvaguardia delle loro mura un protettore sì degno" - Vita e opera apostolica del Servo di Dio Mons. Antonio Franco, Prelato Ordinario di Santa Lucia del Mela (Edizioni del Museo, 1997)