lunedì 22 ottobre 2012

Antichi mestieri luciesi. Quando il passato non è una terra straniera


di Tiziana Parisi


Quando un popolo non ha più senso vitale del suo passato si spegne. 
La vitalità creatrice è fatta di una riserva di passato. 
Si diventa creatori anche noi, quando si ha un passato. 
La giovinezza dei popoli è una ricca vecchiaia.


(Cesare Pavese, "Il mestiere di vivere", 6 luglio 1939).


Le parole di C. Pavese sottolineano l'importanza, per ogni comunità, della dialettica costante tra vecchio e nuovo, tra passato e presente. Per riuscire a comprendere a fondo il presente, infatti, occorre indubbiamente conservare un'adeguata memoria storica, la quale non può rinunciare al tentativo di tramandare, tra le altre cose, notizie riguardanti le antiche attività lavorative presenti nel proprio territorio. Nell’ambito luciese molti antichi mestieri, in seguito all'avvento del consumismo, che nel corso degli ultimi sessant'anni ha 
modificato le esigenze del mercato, sono stati del tutto abbandonati o risultano in procinto di scomparire.
La bottega del mastro ramaio
Tra quelli che, seppur rari, vengono svolti ancora oggi da perseveranti artigiani luciesi, vi è l'antico mestiere del mastro ramaio
Il Sig Giovanni Mercadante, infatti, ottantatreenne, seppur ormai in pensione da diversi anni, si reca ogni mattina nella sua bottega, situata nella parte alta del paese, per continuare a creare oggetti interamente realizzati a mano, senza l’ausilio di alcun macchinario, non più per scopi commerciali, ma soltanto per piacere personale. Egli afferma di aver imparato il mestiere da piccolo, aiutando il padre: la sua famiglia, infatti, svolge questa attività da 4 generazioni. Dopo il servizio militare, si sposò e si mise in proprio, cominciando a produrre, e talvolta a riparare, caldaie, pentole e campane ad uso pastorizio.
Una campana ad uso pastorizio in fase di lavorazione
“Più volte mi è capitato di ricevere nella mia bottega dei ragazzi intenti a preparare la loro tesi di laurea - afferma il mastro ramaio -, i quali hanno seguito passo passo le mie lavorazioni. Ma, purtroppo, dopo di me a S. Lucia non ci sarà più nessuno a seguire le mie orme. Mio figlio, infatti, svolge un altro lavoro, e nessun giovane – continua con un po’ di disappunto - ha voluto imparare da me; oggi vogliono tutti lavorare con i piedi sotto il tavolino! Di mastri ramai più vicini a noi possiamo trovarne attualmente soltanto uno a S. Angelo di Brolo e uno a Randazzo”.
Mulino a pietra
Un altro antico mestiere, che permane a stento sul nostro territorio, è quello svolto dalla Sig. Carmela Coppolino, 84 anni, detta, non a caso, "a mulinara". Ella racconta che fin dall’età di 15 anni cominciò ad aiutare il suo futuro marito, che possedeva un mulino a pietra, azionato dalla pressione dell’acqua, il quale fu trasferito negli anni in diverse sedi,per poi essere trasformato, una volta giunto all’interno del centro abitato, in seguito al fenomeno dell’urbanesimo, in mulino ad alimentazione elettrica. Fu inoltre acquistato un secondo mulino, a cilindri, messo in funzione contemporaneamente al primo, a causa dell’aumentata richiesta da parte degli utenti di un prodotto più raffinato.
Particolare di un mulino a cilindri
“Da circa una decina d’anni, però - racconta la Sig. Coppolino - ho assistito ad un’inversione di tendenza; la gente, infatti, vuole tornare ad usare una farina più grezza, preferendo così la lavorazione a pietra, convinta della maggiore salubrità di questo prodotto. Mi sento inoltre di consigliare, a chi volesse preparare il pane in casa, di usare il lievito-madre invece dei moderni lieviti chimici, in quanto esso ha una fermentazione limitata nel tempo, per cui non causa disturbi digestivi. Per il futuro prevedo un ulteriore ritorno alla lavorazione casalinga del pane, soprattutto a causa dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari a cui assistiamo continuamente”.
Ma, a scapito di qualsiasi preconcetto, che vedrebbe soltanto persone di una certa età svolgere questi vecchi mestieri, vi è la bottega di Giuseppe Cirino, 26 anni, calzolaio (in dialetto locale "scapparu"). Ma cosa spinge un ragazzo della sua età ad intraprendere questo tipo di lavoro?
“Fin dall’età di 12 anni – racconta il giovane - ho lavorato come apprendista presso diverse botteghe, per poi decidere di mettermi in proprio, spinto, oltre che dal sapore nostalgico trasmessomi da questa attività, anche dal fatto che non avrei avuto molta concorrenza, data la sua attuale rarità nel nostro ambito cittadino. Ho voluto però apportare dei cambiamenti, a cominciare dal tipo di ambiente, che ho reso più luminoso e accogliente rispetto al passato, e continuando con i materiali e le tecniche, che andavano necessariamente rinnovati. Devo ammettere di aver avuto un buon riscontro tra i miei concittadini”. 
Inutile dire che un’eventuale scomparsa di questi antichi mestieri produrrebbe un ingente danno culturale, così come è avvenuto in seguito alla totale sparizione di molti di essi, presenti anticamente sul territorio luciese. Eccone alcuni esempi:
- u franninaru: vendeva pezzi di stoffa. 
- u siggiaru: costruiva e riparava sedie. 
- l’umbrillaru: riparava gli ombrelli. 
- i carbunara: accendevano un’alta catasta di legna ricoperta da terriccio, per poi ricavarne, dopo 
alcuni giorni, il carbone. . 
- u mastru firraru (maniscalco): si occupava di mettere gli zoccoli agli asini, ecc... 
- u stagninu: produceva e riparava oggetti in latta, lamiera e stagno. 
- u buttaru: costruiva le botti. 
- u baddunaru: produceva i “badduni”, cioè una sorta di selle per gli asini, cavalli, ecc.. 
- i nuvaroli: raccoglievano la neve in un fosso, la pressavano per farla diventare ghiaccio, per poi tagliarla a blocchi; poi li caricavano sui muli e li portavano in paese per venderli (fungevano da frigoriferi). 
- u banniaturi: diffondeva a voce notizie da parte del comune o di privati cittadini, introducendole con l’espressione: "Sintìti,!!!sintìti!!!" 
- l’ugghiularu: vendeva l’olio. 
- u curàtulu: a differenza di oggi, anticamente aveva molti poteri, simili a quelli del feudatario medievale; egli prendeva un enorme numero di decisioni riguardanti bestiame e terre, dove lavoravano i contadini, ai quali sottraeva la parte migliore del raccolto. 
- u cantastorie: intratteneva grandi e piccini con i suoi racconti. Spesso stazionava “nto buggu” (l’attuale P.zza Margherita). 
- il venditore di sarde: amava “pubblicizzare” i suoi prodotti con la frase ”Prima i soddi e poi i sardi!”. 
- u cufinaru: intrecciava ceste, cestini, ecc…(Oggi qualcuno ancora permane, ma non può considerarsi un vero e proprio lavoro). 
- u sinsàli: era un intermediario nelle vendite di proprietà private, da cui ricavava delle percentuali. 
- u pizzularu: raccoglieva le radici dell’erica, per poi rivenderla a chi produceva pipe, cruscotti per automobili e parquet. 
Coscienti del ruolo che il lavoro ha sempre avuto all'interno della società, e cioè quello di condizione essenziale per la sua stessa sopravvivenza, oltre che di supporto dei rapporti umani ed economici fra i suoi componenti, alcuni di questi vecchi mestieri vengono fatti rivivere egregiamente nel corso di varie manifestazioni organizzate in diversi periodi dell'anno nel nostro paese. I prossimi eventi in cui tornerà in vita, sebbene per pochi giorni, parte di questo prezioso patrimonio lasciatoci dai nostri padri ed antenati, sono il November Fest, che si svolgerà domenica 4 Novembre presso il Parco Urbano di S.Lucia del Mela, e, sempre nella stessa cornice, la IV edizione del Presepe Vivente, che prenderà il via il giorno di Natale, per poi ripetersi nelle date prestabilite. Occasioni queste per avvicinare i piccoli, sfruttando così il loro enorme potenziale educativo, gli adulti e persone di ogni età, che abbiano voglia di rivivere uno spaccato culturale non indifferente.